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Nuovi scenari economici globali: sfide e opportunità per le imprese

Stiamo assistendo a un'inversione di tendenza: da un mondo basato sul libero scambio si è passati a una fase dominata da dazi, barriere e politiche protezionistiche.


Un cambiamento epocale che colpisce direttamente il tessuto economico italiano, fatto in gran parte da piccole e medie imprese esportatrici.

Con Giuseppe Capuano, docente di Economia internazionale all’Università di Salerno e senior economist al Senato della Repubblica, abbiamo analizzato questo scenario complesso per capire quali sono i veri rischi e le possibili opportunità.


Dal libero scambio al protezionismo

Dopo gli accordi di Bretton Woods del 1944, l’Occidente aveva scelto la via del commercio libero come motore della crescita. Tutti gli economisti, da Adam Smith a Ricardo fino ai monetaristi moderni, hanno sempre concordato su un punto: il libero scambio favorisce lo sviluppo.


Oggi, però, a guidare la stagione dei dazi sono proprio gli Stati Uniti, storicamente patria del liberismo. L’obiettivo, soprattutto sotto la presidenza Trump, è duplice:

  • ridurre il deficit commerciale, in particolare con l’Europa;

  • limitare l’enorme debito pubblico americano (oltre 36.000 miliardi di euro).

Un ribaltamento che sta riscrivendo le regole del gioco.


Il ruolo della Cina e della SCO di Shanghai

Parallelamente, Cina, Russia e India — insieme ad altri Paesi emergenti — stanno rafforzando la cooperazione economica attraverso la Shanghai Cooperation Organization (SCO).Questi Paesi rappresentano già un quarto del PIL mondiale e stanno cercando di costruire un “nuovo ordine internazionale” alternativo a quello guidato dagli Stati Uniti.


Per l’Europa e per l’Italia, questo significa opportunità e rischi:

  • oltre 19.000 treni merci all’anno collegano già la Cina all’Europa;

  • aziende cinesi guardano con interesse al nostro mercato (recenti i rumors su MediaWorld).

Il rischio è che, se l’Europa non rafforza la propria competitività, resti schiacciata tra due blocchi economici sempre più forti.


Le conseguenze per le PMI italiane

Le imprese italiane esportano negli Stati Uniti 65 miliardi di euro all’anno, un mercato fondamentale soprattutto per i settori a medio-alta gamma. Nel breve termine, l’impatto dei dazi può essere attenuato con accordi sui prezzi tra produttori e distributori.


Ma nel medio-lungo periodo la partita cambia. Per restare competitive, le aziende italiane devono:

  • investire in innovazione e tecnologie;

  • aumentare la produttività, così da alzare i salari senza generare inflazione;

  • puntare su formazione e capitale umano.

Sussidi e sovvenzioni a pioggia, invece, rischiano di essere solo un palliativo.


Chi vince davvero con i dazi?

Alla fine, i dazi sembrano penalizzare soprattutto i consumatori:

  • quelli americani, che vedono i prezzi salire;

  • quelli europei, che rischiano mercati più chiusi e competitivi.


Solo alcune industrie nazionali americane possono trarne un vantaggio, riportando (parzialmente) produzioni in patria. Ma persino Apple ha preferito spostare parte della sua catena produttiva dalla Cina all’India, non negli Stati Uniti.


Conclusioni: cooperare o perdere tutti

Il protezionismo non può essere una strategia di lungo periodo. Come ci ricorda la teoria dei giochi di John Nash, “se non cooperiamo, perdiamo tutti”.Per l’Italia e l’Europa questo significa una sola cosa: rafforzare la competitività interna e costruire un’Unione più coesa ed efficiente, capace di avere voce nel nuovo equilibrio mondiale.


Guarda l'intervista completa su FinanceTV o ascolta

il Podcast FinanceTV Talks - Le Voci dell'Economia


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