
Debito americano e la fine del "porto sicuro"? Credibilità USA e futuro del dollaro in discussione
Fino a quando gli Stati Uniti saranno il porto sicuro dei mercati? Ne parliamo con Alan Friedman
Un equilibrio sempre più fragile tra potenza e indebitamento
Negli ultimi anni, il tema del debito pubblico americano è tornato al centro del dibattito internazionale. Gli Stati Uniti, tradizionalmente considerati il porto sicuro degli investitori globali, stanno affrontando una situazione che non può più essere ignorata: un debito che cresce a ritmi mai visti e una credibilità finanziaria che inizia a mostrare segni di logoramento.
Le stime più recenti indicano che, entro il 2030, il rapporto debito/PIL degli Stati Uniti potrebbe superare quello dell’Italia, storicamente considerata una delle economie più indebitate del mondo. È un dato che mette in prospettiva la portata del problema: il fardello americano ha raggiunto livelli compresi tra il 120 e il 130% del PIL, una soglia che solleva interrogativi sulla sostenibilità di lungo periodo della finanza pubblica statunitense.
Il dollaro resta la valuta di riferimento, ma con minore forza
Il dollaro statunitense continua a essere la valuta di riserva mondiale, ma la sua posizione dominante non è più indiscutibile. Le politiche fiscali espansive e i dazi introdotti durante l’amministrazione Trump hanno portato a una svalutazione del dollaro di circa il 10–12%, segnale di un sistema che mostra le prime crepe.
Un altro elemento significativo è che le banche centrali internazionali oggi detengono più oro che dollari americani, una dinamica che riflette una diversificazione delle riserve e un ridimensionamento della fiducia nella moneta statunitense.
Pur restando la principale superpotenza militare ed economica, l’America appare meno centrale di un tempo nel sistema finanziario globale. La solidità del dollaro non è più garanzia automatica di stabilità, e gli investitori iniziano a chiedersi se il suo ruolo di valuta rifugio potrà reggere in un mondo sempre più multipolare.
La politica fiscale americana e il rischio di un declassamento
Le politiche fiscali adottate negli ultimi anni hanno aggravato la situazione. I tagli alle imposte voluti da Trump hanno aggiunto circa 4.000 miliardi di dollari al debito complessivo, mentre i dazi commerciali introdotti per riequilibrare la bilancia dei pagamenti hanno generato un effetto opposto: nuove tasse a carico dei consumatori americani.
In sintesi, le entrate derivanti dai dazi — stimate tra 100 e 300 miliardi di dollari all’anno — non sono sufficienti a compensare l’espansione del debito. Questo squilibrio strutturale potrebbe presto tradursi in un declassamento del debito sovrano americano da parte delle agenzie di rating, minando ulteriormente la percezione di affidabilità degli Stati Uniti sui mercati internazionali.
Il vero rischio per i mercati globali
La grande incognita dei prossimi anni sarà la sostenibilità finanziaria del modello americano. Se gli Stati Uniti non riusciranno a controllare l’aumento del debito, potrebbero vedere compromessa la loro capacità di assicurare stabilità al sistema economico mondiale.
Il rischio, oggi, non è il crollo improvviso della fiducia, ma una lenta erosione della credibilità che potrebbe spostare progressivamente il baricentro della finanza globale verso nuovi poli di potere economico.
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