
Scongeliamo i cervelli: il potere delle scienze comportamentali per cambiare il nostro rapporto con l’ambiente
Le scienze comportamentali spiegano perché fatichiamo ad agire contro il cambiamento climatico e come “scongelare” i nostri cervelli può salvarci.
Per decenni abbiamo creduto che il cambiamento climatico fosse una questione di tecnologia, di energia, di politiche internazionali. Ma forse la sfida più grande non è là fuori: è dentro di noi. È questo il cuore dell’intervento del professor Matteo Motterlini, uno dei massimi esperti italiani di scienze comportamentali, intervistato in una puntata speciale di Finance TV – Le Voci dell’Economia, condotta da Jonathan Figoli.
Motterlini, professore di filosofia della scienza all’Università Vita-Salute San Raffaele e autore del libro “Scongeliamo i cervelli (non i ghiacciai)”, spiega che la vera emergenza climatica è cognitiva:
“Ormai non è soltanto il clima a essere fuori controllo. Lo siamo noi. È il nostro modo di pensare che è diventato insostenibile.”
Il cervello del Pleistocene e le sfide del XXI secolo
L’uomo moderno vive in un mondo per cui non è stato progettato. Il nostro cervello – spiega Motterlini – è ancora quello del Pleistocene: programmato per reagire a minacce immediate, non a crisi lente e complesse come quella climatica. Sappiamo che la CO₂ aumenta, che le temperature crescono, che gli oceani si riempiono di plastica. Eppure non agiamo. È il cosiddetto “paradosso cognitivo”: la mente conosce il pericolo, ma non riesce a tradurre questa consapevolezza in comportamento.
Le scienze comportamentali offrono però una chiave preziosa per superare questa inerzia: comprendere i bias cognitivi che condizionano le nostre scelte e costruire politiche pubbliche “evidence-based”, capaci di guidare i comportamenti in modo efficace e non ideologico.
“Le politiche basate sull’evidenza”, spiega Motterlini, “sono l’unico antidoto all’ideologia e alla polarizzazione. Oggi possiamo progettare interventi che parlano alla nostra mente, non solo alla nostra razionalità”.
Quando comunicare bene diventa decisivo
Uno degli ostacoli principali nella lotta al cambiamento climatico è proprio la comunicazione. Come racconta l’intervista, “comunicare bene significa superare la barriera più grande: il nostro cervello”.Spesso i messaggi sulla sostenibilità sono formulati in modo astratto o catastrofico, e il risultato è l’effetto opposto: paralisi, negazione o indifferenza.
Servono invece strategie narrative e comportamentali capaci di ingaggiare emotivamente, mostrare benefici immediati e creare senso di appartenenza. Non è solo una questione di dati, ma di design cognitivo delle scelte.
Il coraggio di pensare al futuro
La riflessione di Motterlini tocca anche un altro punto essenziale: la paura del futuro. Proprio come nel campo della previdenza e degli investimenti, anche nella sostenibilità fatichiamo a pensare in termini di lungo periodo. Il nostro cervello tende a scontare eccessivamente il futuro (present bias), preferendo gratificazioni immediate. Riconoscere questo meccanismo è il primo passo per progettare soluzioni che ci aiutino a superarlo – sia quando si tratta di risparmiare, sia quando si tratta di ridurre le emissioni.
Scongelare le menti, non i ghiacciai
Alla fine, la sfida ecologica e quella economica coincidono: richiedono una nuova cultura della responsabilità, individuale e collettiva. Non bastano più solo tecnologie o incentivi economici: serve un cambiamento cognitivo. Perché, come sottolinea Motterlini,
“Se non cambiamo il nostro modo di pensare, nessuna politica climatica potrà essere davvero efficace”.
Le scienze comportamentali ci offrono dunque la possibilità di “scongelare i cervelli”: di capire come funzioniamo, per imparare finalmente ad agire.

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