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Dal WTO alla guerra dei dazi: l’evoluzione del rapporto USA–Cina negli ultimi 20 anni

Dall’ingresso della Cina nel WTO all’inizio della nuova era economica. Analizziamo cosa è successo



Quando nel 2001 la Cina entrò nell’Organizzazione Mondiale del Commercio, il mondo occidentale accolse l’evento come l’inizio di una globalizzazione definitiva. Gli Stati Uniti, convinti di poter delocalizzare la propria manifattura mantenendo il controllo tecnologico e finanziario, aprirono le porte a Pechino.


L’obiettivo era chiaro: spostare la produzione dove la manodopera costava meno, concentrandosi sulle competenze strategiche e di alto valore.

Quella decisione, presa con una fiducia che col senno di poi appare eccessiva, ha invece dato avvio a un percorso di emancipazione industriale cinese.


Gli Stati Uniti immaginavano una Cina “al servizio” della loro economia, ma nel giro di due decenni Pechino è riuscita a trasformare la propria posizione: da officina globale a centro tecnologico e geopolitico capace di dettare i ritmi del commercio mondiale.


Il salto di qualità del modello cinese

Attraverso l’apertura alla produzione su larga scala e il trasferimento di tecnologie e macchinari occidentali, la Cina ha accumulato un vantaggio di conoscenza industriale e tecnologica. L’apprendimento derivato dal produrre per i grandi marchi americani ha generato un sapere interno che oggi le consente di competere come innovatore, non più solo come esecutore.


Questa crescita è diventata evidente con il piano Made in China 2025, un progetto di politica industriale pensato per garantire al Paese autonomia tecnologica e capacità di innovazione endogena. Il programma mira a rendere la produzione cinese indipendente dalle tecnologie occidentali, puntando a una quota di auto-approvvigionamento tecnologico che entro pochi decenni potrebbe raggiungere il 70%.


La reazione americana e il nuovo equilibrio mondiale

La dichiarazione di autonomia tecnologica cinese è stata percepita come una minaccia diretta. La risposta americana, durante la presidenza Trump, si è tradotta nella prima ondata di dazi e nella paralisi dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, la cui funzione arbitrale è stata di fatto bloccata.


Siamo così entrati in una fase di guerra economica: non un conflitto militare, ma una competizione commerciale, industriale e normativa che segna il ritorno della politica nell’economia globale. È una rivalità tra sistemi: quello occidentale, fondato su apertura e concorrenza, e quello cinese, basato su pianificazione, sussidi e controllo delle filiere.


Cina e Stati Uniti: due modelli destinati allo scontro

La Cina non ha mai voluto integrarsi completamente nel modello economico occidentale. Il suo obiettivo non era essere ammessa nel “club” dei Paesi sviluppati, ma riformulare le regole del commercio mondiale a proprio vantaggio. Gli Stati Uniti, dal canto loro, hanno sottovalutato la capacità cinese di apprendere, adattarsi e innovare.


Oggi la rivalità non è solo economica ma sistemica: riguarda due visioni del mondo, due modi di intendere lo sviluppo e il potere. E l’Asia, non più soltanto “fabbrica globale”, si conferma il nuovo epicentro dell’economia mondiale.


Guarda l’intervista completa su FinanceTV o

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