
Irpef, evasione e il peso (sproporzionato) sul ceto medio: due facce della stessa ingiustizia
Il dibattito politico italiano continua a ruotare attorno al tema del ceto medio spesso dimenticato nelle politiche fiscali.
L’analisi recentemente pubblicata da Itinerari Previdenziali fotografa una realtà scomoda: una quota ristrettissima di contribuenti sostiene gran parte del gettito Irpef, mentre l’evasione fiscale continua a sottrarre allo Stato risorse equivalenti a manovre economiche intere.
Due lati della stessa medaglia: chi paga, paga troppo. Chi evade, continua a sottrarsi.
Chi paga davvero l’Irpef?
Secondo i dati aggiornati alle dichiarazioni del 2024, solo 3,02 milioni di contribuenti – il 7,1% del totale – versano il 44,3% di tutta l’Irpef. Ancora più impressionante il dato sui redditi più alti: chi dichiara oltre 100.000 euro lordi è appena l’1,65% del totale, ma garantisce quasi un quarto del gettito complessivo (22,43%).
Una minoranza esigua sostiene quindi, con le proprie tasse, il funzionamento di gran parte del welfare e della spesa pubblica. Questo non significa che il resto degli italiani non paghi nulla, ma il peso della progressività – per come è costruita in Italia – è concentrato su una piccola platea, trasformando l’Irpef da strumento di equità a vero e proprio prelievo punitivo.
Il paradosso: l’evasione fiscale
E mentre pochi cittadini pagano per tutti, l’Italia convive con una piaga storica: l’evasione fiscale. Secondo i dati del Ministero dell’Economia e della Corte dei Conti, il “tax gap” (ossia la differenza tra imposte dovute e incassate) si aggira stabilmente attorno ai 90-100 miliardi di euro l’anno.
Per avere un termine di paragone:
il gruppo del 7% di contribuenti che sostiene quasi metà dell’Irpef versa 84 miliardi l’anno; l’evasione fiscale, da sola, “vale” più o meno lo stesso importo.
In altre parole: se tutti pagassero le tasse dovute, l’Italia potrebbe ridurre in modo drastico la pressione fiscale proprio su quel ceto medio oggi tartassato. Non servirebbero continue riforme di facciata, ma una seria lotta a chi non versa quanto deve.
Un welfare insostenibile?
L’attuale modello di welfare italiano, pur assorbendo una fetta crescente della spesa pubblica, non riesce a ridurre davvero disuguaglianze e povertà. Questo produce un doppio danno: per chi paga le tasse (sempre meno e sempre gli stessi), e per chi dovrebbe ricevere benefici reali ma si trova di fronte a un sistema inefficiente e spesso clientelare.
Senza un riequilibrio, il rischio è la perdita di fiducia nel patto fiscale: i cittadini onesti iniziano a percepire le imposte non come contributo solidale, ma come un peso ingiustamente scaricato su pochi.
Conclusione: la vera riforma che serve
La retorica politica difende a parole il ceto medio, ma nei fatti lo sacrifica. La vera riforma fiscale italiana non è un maquillage sulle aliquote Irpef, ma un piano strutturale che unisca:
1. lotta concreta all’evasione fiscale (digitalizzazione, controlli mirati, incrocio dati),
2. riduzione del carico fiscale per chi già paga,
3. razionalizzazione del welfare, per garantire che la spesa sociale non diventi un buco nero.
Finché queste tre leve non saranno attivate insieme, resteremo prigionieri di un paradosso: un Paese dove pochi cittadini pagano troppo, molti pagano poco o nulla, e l’evasione fiscale vale quanto un’intera manovra economica.
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