Guarire la democrazia
Un nuovo paradigma politico ed economico, insieme a Leonardo Becchetti
Di cosa si parla?
Perché la disuguaglianza non è diminuita con la democrazia? Si apre così l’intervista di FinanceTV a Leonardo Becchetti. L’economista e professore di politica economica l’Università Tor Vergata e fondatore di Next, Nuova Economia per tutti, affronta l’esigenza di passare ad un’economia generativa e, nel suo nuovo libro, “Guarire la democrazia – Per un nuovo paradigma economico e politico”, entra nel merito della connessione fra la partecipazione pubblica, la politica e la distribuzione della ricchezza che, in questo momento, attraverso il modello economico capitalistico, genera ancora troppe disuguaglianze. Come mai? Qual è il meccanismo inceppato del sistema?
Il punto centrale, spiega il Professor Becchetti, è che la diseguaglianza non si è ridotta con l’avvento della democrazia a causa dei meccanismi che combinano comunicazione e campagne elettorali: chi finanzia maggiormente le campagne, ovvero gli strati più ricchi della popolazione, influenza notevolmente le decisioni politiche. L’investimento non avviene solo in sede di elezioni, ma anche in termini di comunicazione in un arco temporale più ampio: i politici eletti sono in qualche modo indirizzati a perseguire gli interessi di chi li finanzia. Inoltre, le proposte riguardanti tasse patrimoniali per i più ricchi, come quella avanzata da Oxfam, non vengono approvate, indicando non solo un condizionamento della politica, ma anche un problema culturale più profondo.
Il professor Becchetti introduce un’ulteriore considerazione, ovvero che la diseguaglianza non è sempre vista come un aspetto negativo: alcuni studi fanno infatti un distinguo tra diseguaglianza di opportunità, dovuta a fattori come la nascita, il genere o la discriminazione, e diseguaglianza di effort, che dipende da fattori controllabili come l’istruzione. Talvolta, anche le disuguaglianze dal basso possono essere percepite positivamente, come indicatori del funzionamento dell’ascensore sociale, ma serve notare che non sempre la percezione corretto funzionamento corrisponde alla realtà.
Il reddito di cittadinanza incentiva lo sviluppo sociale o funziona come “disincentivo al lavoro”? A tal proposito l’economista cita lo studio recente del premio Nobel Abhijit Vinayak Banerjee, che ha sperimentato in alcuni villaggi indiani per dieci anni un reddito di base al fine di comprenderne gli impatti: i risultati evidenziano come l’incentivo sia servito per dare nuova linfa nella realizzazione dei progetti degli individui più svantaggiati, contribuendo così a diminuire le disuguaglianze.
Al contrario, si denota come le crisi finanziarie, ad esempio quella del 1929 e del 2008, contribuiscano ad alimentare le disuguaglianze, comprimendo le capacità di consumo del ceto medio e generando a loro volta un meccanismo che alimenta la crisi e che ferma lo sviluppo economico.
Per quanto riguarda invece l’impatto dell’intelligenza artificiale, come evidenziato nel libro “Guarire la democrazia”, le prospettive delle principali istituzioni sul futuro non sono appaiono affatto negative. La società di consulenza strategica Gartner, una delle istituzioni più autorevoli a livello globale, prevede infatti la creazione di mezzo miliardo di posti di lavoro nei prossimi dieci anni: il numero può sembrare sorprendente, ma se confrontato con i dati dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro degli ultimi anni, che denotano un aumento annuale di quasi 40 milioni di posti di lavoro, si tratta di una prospettiva ragionevole. Due sono i principali interrogativi da porsi: il primo è se questi posti di lavoro potenziali saranno effettivamente occupati, cioè se i lavoratori avranno le competenze necessarie. Il secondo riguarda il fatto che il progresso tecnologico, che solitamente porta a una concentrazione di ricchezza nelle mani dei proprietari delle tecnologie, possa tradursi in un miglioramento del benessere per tutti e nella riduzione delle disuguaglianze. Per questo motivo attualmente si discute molto sull’implementazione di una minimum global tax, che potrebbe contrastare efficacemente l’evasione e l’elusione fiscale. Inoltre, la polarizzazione della ricchezza e la trasformazione del mondo del lavoro non possono essere considerate separatamente dalle dinamiche demografiche in atto: l’allungamento della vita media, ad esempio, sebbene porti ad un migliore salute fisica e benessere, comporta anche nuove sfide economiche legate all’invecchiamento della popolazione e alla necessità di affrontare questioni legate all’economia della longevità in una prospettiva di sostenibilità sociale ed economica.
Insieme al Professor Becchetti si è approfondito il tema della longevità e della silver economy, un ambito che dovrà diventare sempre più centrale in termini di politiche e di investimenti, declinandoli partendo dal presupposto che l’aspettativa di vita degli individui oltre i 65 anni in Italia si divide in due fasi: la prima, di solito di una decina di anni, caratterizzata da tempo libero e buona salute, e una successiva, in cui la salute viene progressivamente meno. Considerare questi due momenti significa comprendere le potenzialità e gli impatti che questi generano sull’economia, poiché durante gli anni di buona salute le persone anziane sono consumatori attivi di beni culturali, viaggi e altro ancora, mentre nella fase successiva le spese si concentrano principalmente sui servizi di assistenza sociale, generando sfide significative, come aggravi economici importanti per le famiglie con più anziani non autosufficienti. Oggi la legge sulla non autosufficienza riconosce il problema, ma attualmente mancano gli investimenti necessari per affrontarlo efficacemente. Nel prossimo futuro sarà quindi essenziale integrare i redditi di sostegno per i non autosufficienti e lavorare per estendere il più possibile il periodo di vita in buona salute, fattore che dipenderà dalla promozione di una “longevità attiva“, che consenta alle persone anziane di rimanere produttive e utili alla società il più a lungo possibile, poiché la capacità di contribuire attivamente è fondamentale non solo per il benessere individuale, ma anche per la salute complessiva della società.
Non solo la longevità, ma anche le dinamiche demografiche avranno un impatto significativo: in Italia, la bassa natalità e l’invecchiamento della popolazione influenzeranno sempre più l’economia nazionale con riflessi diretti sul PIL e sulla crescita economica, sull’aumento del rapporto debito-PIL e sui sistemi previdenziali. Con la diminuzione della forza lavoro dovuta alla bassa natalità e al pensionamento delle generazioni del baby boom, si profilano serie sfide per garantire un reddito pensionistico adeguato: l’adeguamento dell’età pensionabile all’aspettativa di vita è sì una mossa necessaria, ma non sufficiente.
L’immigrazione può rappresentare una soluzione temporanea al calo della natalità: i flussi di migranti in arrivo contribuiscono al sistema previdenziale e, se vi fossero adeguate politiche di attrazione, potrebbero rivitalizzare le aree in declino.
Infine, conclude Becchetti, crescita economica e riduzione del debito pubblico sono sì obiettivi cruciali, ma dovrebbero essere considerati come strumenti intermedi per il benessere e la felicità della società nel suo complesso: è necessario concentrarsi su obiettivi più ampi, come creare condizioni che favoriscano la realizzazione personale e la generatività, l’occupazione, il benessere sociale e la felicità individuale.
Approfondisci i temi dell’intervista leggendo “Guarire la democrazia – Per un nuovo paradigma economico e politico“, Minimum Fax editore
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